Cima Adamello dal Rifugio Lobbia Alta – attraversamento del ghiacciaio e giro Matarot – Mandrone in due giorni

Questa è una di quelle alpinistiche che volevamo provare da tempo, e dopo la Translagorai eravamo sufficientemente allenati per farla.
Nulla di complicato in estate a patto che si padroneggi la progressione su ghiacciaio, ma è parecchio faticosa: a parte i dislivelli assolutamente accettabili il giro è veramente eterno, con infinite ore passate con i ramponi ai piedi. Quando ve li toglierete, alla fine, al loro posto vi sembrerà di avere uno zoccolo (di gnu 😀 cit. Aldo Giovanni e Giacomo per i più giovani).

Per questo l’abbiamo ovviamente spezzata in due giorni (in un giorno la fanno solo gli ironmen!) pernottando al sempre bellissimo Rifugio Lobbia Alta, alias Caduti dell’Adamello, dove abbiamo trovato posto prenotando con soli due giorni di anticipo.

Le foto (soprattutto del secondo giorno) sono spettacolari: il Ghiacciaio dell’Adamello, seppure, purtroppo, in rapida ritirata, è il più grande d’Italia e godere dell’alba da lassù è un privilegio raro.

Giorno 1: da Malga Bedole in Val Genova al Rifugio Lobbia Alta, via Matarot – con puntatina a Cima Lobbia Alta

Malga Bedole (1.598 m slm) – Rifugio Lobbia Alta (3.040 m slm) – Cima Lobbia Alta (3.196 m slm) – via Matarot EEA – disliv compl. 1600 mt (1400 per il rifugio) – sviluppo 7.3 km

Disclaimer: trovate molte foto relative a questo percorso, ma affrontato di pomeriggio ed in senso opposto, nella nostra precedente relazione di un bel giro ad anello fatto nel 2017 (potete anche giocare a confrontare le foto :D)

Quest’anno in Brenta c’era la “bella” novità di dover pure prenotare il parcheggio: speriamo siano misure prese a causa del Covid e che non persistano in futuro, sta di fatto che noi entrando il Val Genova prima delle 6.30 del mattino, il parcheggio non lo abbiamo nè prenotato nè pagato (come è giusto che sia)

Il segnavia da seguire è il 241, dopo essere saliti rapidamente al Rifugio Bedole comincia il sentiero vero e proprio, che si porta dapprima sulla piana bassa della valle del Matarot dove pascolano beatamente le mucche.
Si attraversa la piana su un sentiero parecchio antipatico, nel letto di un corso d’acqua ormai secco con pietroni e roccette scivolose fino ad uscire sui ghiaioni terminali, proprio al di sotto delle bellissime cascate. Si traversa e si risale ancora fino alle rocce, dove il sentiero è attrezzato con cavi metallici e staffe (che non servirebbero). Si sale dunque proprio di fianco alle cascate, che la mattina sono ovviamente un po’ più scariche d’acqua rispetto al pomeriggio, ma sempre spettacolari: il salto è di circa 400 m.

Il tratto attrezzato termina quando la pendenza si fa meno importante, ma c’è ancora un bel pezzo da salire prima di arrivare in vista del laghetto glaciale posto ai piedi del Ghiacciaio delle Lobbie. Da qui si prosegue sul fianco destro, sempre con sentiero segnato tra rocce e grandi massi, guadagnando ulteriormente quota e aggirando il costone della montagna, sino ad arrivare al passo vero e proprio ove sono posti l’altare di Giovanni Paolo II e relativa campana. Al di sotto la piazzola dell’elicottero, che arriverà proprio contemporaneamente a noi: fortunatamente nessuna missione di salvataggio, solo operazioni di routine.

Per raggiungere il rifugio si deve proseguire ancora un poco, superando il filo spinato e perdendo qualche metro di quota: i Caduti dell’Adamello si trova proprio dietro al passo. Sorpresa: è stato recentissimamente dotato di teleferica – una super teleferica!

Camminando piano e fermandoci a fare qualche pausa ci abbiamo messo 4 ore e 30, esattamente in linea con i tempi CAI (ma lo abbiamo fatto ben più velocemente altre volte, forse stiamo invecchiando!). Fatto sta che arriviamo anche un po’ in anticipo per il pranzo, che non avendo null’altro da fare in questa giornata consumeremo con molta calma – Erica consiglia il minestrone 😛

A questo punto decidiamo di salire alla cima del rifugio, l’omonima Lobbia Alta: ci vuole circa una mezz’ora e il panorama da quassù è veramente incantevole, perchè spazia sino all’Adamello ma anche sulla opposta Val Genova. Ce lo godiamo per un po’, esploriamo i resti di qualche baraccamento della Guerra Bianca disseminati qua e là per poi tornare ai Caduti a prendere il sole in attesa della cena!

L’idea in realtà era quella di fare Cresta Croce e Cima Cannone, ma ci siamo erroneamente lasciati dissuadere da informazioni sbagliate: nonostante il ghiacciaio al di sotto di Cresta Croce si sia ritirato moltissimo la cosa è perfettamente fattibile avendo solo picca e ramponi. Sarà per la prossima volta, tanto il cannone non si sposta.

Sempre a proposito di Cresta Croce e Cima Cannone, la sera a cena abbiamo conosciuto dei ragazzi che il giorno successivo li hanno concatenati con Cima Adamello: ci abbiamo seriamente pensato anche noi, ma abbiamo fatto bene – rispetto al nostro allenamento – ad evitare. Avremmo allungato un giro già eterno – e ancora non sapevamo quanto! – rischiando di non portare a casa la cima o di arrivare a valle con le frontali.

Giorno 2: dal Rifugio Lobbia Alta a Cima Adamello e discesa

Rifugio Lobbia Alta (3.040 m slm) – Cima Adamello (3.539 m slm) – Rifugio Mandrone Città di Trento (2.449 m slm) – Malga Bedole (1.598 m slm) – alpinistica – disliv compl. 770 mt – sviluppo 25 km

Colazione alle 5.00 e partenza verso le 5.30 muniti di frontali: il giorno prima ci eravamo fatti spiegare dal gentilissimo rifugista il modo di aggirare le rocce ormai emerse (sigh!) che dividono la parte di ghiacciaio – miserissima – sotto al Rifugio dalla parte terminale del Ghiacciaio del Mandrone, che bisogna poi risalire per arrivare al Pian di Neve.

Sostanzialmente c’è un passaggio un poco più a monte del rifugio, segnato da ometti: ma la situazione l’anno prossimo potrebbe essere completamente diversa, a seconda dell’inevamento e della ritirata del ghiacciaio.

Superate le rocce e discesi sul ghiacciaio abbiamo preparato la cordata “regolamentare”, con tanto di nodi palla, che non si sa mai. Nel frattempo il cielo dietro di noi si è colorato dei rossi e dei gialli dell’alba imminente: uno spettacolo indescrivibile, con le luci dei Caduti dell’Adamello, ancora in ombra, accese a punteggiare la parete. Appena abbiamo cominciato a camminare le rocce del Corno Bianco si sono accese d’arancione come pepite, mentre il ghiacciaio faceva da quinta, ancora in ombra e grigio-bluastro (e questo in molti punti, d’estate, è proprio il suo colore).

Il primo muro, molto crepacciato (i crepacci sono aperti e ben visibili), lo abbiamo aggirato stando il più a monte possibile; superato questo il terreno spiana e si prosegue sostanzialmente dritti verso sud ovest, stando un po’ più verso il Dosson di Genova. Di fianco, ma lontane lo spazio del ghiacciaio, le pareti del Corno Bianco. La consistenza del terreno cambia dopo il primo tratto, si trova anche neve molto poco rigelata.

Dopo un luuuuungo attraversamento si iniziano ad intravedere le pareti del Corno Miller e Corni di Salarno, che chiudono il ghiacciaio molto più in là, nonchè la possibilità di aggirare il Monte Falcone, ovvero la cima accanto al Corno Bianco. Qui non bisogna piegare subito verso destra, dove si incontrerebbe un muro ripido e troppo crepacciato nella parte superiore, bensì proseguire salendo in lungo traverso, addolcendo la pendenza. Una volta risalito il pendio l’Adamello è proprio di fronte a noi (ma ancora lontano).

All’altezza del Bivacco Ugolini si piega verso le pareti della cresta sud-ovest, dove – nel nostro caso – ci siamo slegati e tolti i ramponi perchè ormai era tutta roccia fino alla cima.
Probabilmente esistono altre possibilità di salire, anche a seconda delle stagioni e dell’innevamento. Si percorre tutta la cresta (30”- 40” circa) su facili roccette sino all’affollatissima cima 😀
D’altronde dalla Lombardia la Cima Adamello è molto più facilmente raggiungibile: noi ci arriveremo alle 10.30 circa, assieme a svariati skyrunner.

Se già in generale non è finita fino a che non si è a valle, in questo caso specifico manca ancora gran parte della gita! Inutile dire che sulla cima ci schiacceremo mezz’ora, tra suonare la campana, fare foto, mangiare qualcosa, guardare il panorama; poi cominciamo l’eterna discesa, ripercorrendo più o meno le nostre tracce dell’andata ma con il sole a picco e una neve pappa ormai ridotta ad acqua che non facilita la progressione. Nei tratti ghiacciati veri e propri fiumiciattoli scavano il ghiaccio vivo gettandosi gorgoglianti nei crepacci.
Superiamo quasi senza accorgercene – perchè ormai dopo ore siamo cotti! – l’altezza del Rifugio Lobbia Alta, senza risalire ma proseguendo direttamente sul ghiacciaio del Mandrone fino a raggiungerne la vedretta: qui i crepacci sono enormi, parecchi mulini glaciali costellano la superficie. Sotto di noi il laghetto glaciale che si trasforma in fiume e subito dopo nello stupefacente salto delle Cascate del Mandrone, ancora parecchio lontane: ci sembra un miraggio!

Arriviamo alla sinistra del laghetto (ma si può stare anche sulla destra, forse è più facile, anche qui dipende dalle condizioni) et voilà, ci togliamo FINALMENTE i ramponi. Il sollievo.

Da qui si scende su sentiero segnato fino al Rifugio Mandrone Città di Trento (qui pausa birretta, eccheccazz!) e poi sempre lungamente fino alla Malga Bedole e all’omonimo rifugio. Ore 18.00-18.30: abbiamo superato, con pochissime pause e un ritmo forse lento ma costante, il giro dell’orologio, camminando.

Giudizio

Eh che dire… questa è una di quelle cose che vanno fatte: basta solo organizzarsi bene, fermo restando che le “competenze” sono quelle e bisogna averle, salvo affidarsi ad una guida alpina.

L’emozione dell’alba, ma anche la traversata del Pian di Neve valgono 1.000 punti, i paesaggi sono eccezionali e tutto sommato è qualcosa che non presenta soverchie difficoltà tecniche. Solo un bel po’ di allenamento!
In generale, anche arrivare ai Caduti dell’Adamello dà soddisfazione: se non lo avete mai fatto valutatela come gita “breve” (breve rispetto al resto: guardatevi i dislivelli complessivi e gli sviluppi e valutate secondo quello che è il vostro standard).

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