Punta Esmeralda – Via del Crepone – tentativo – bisogna saper perdere… ;)

Sarà che lo zaino nuovo porta sfiga? Sarà una punizione divina per aver mangiato e bevuto troppo la sera prima? Sarà che amiamo l’alta Ossola, ma a volte non siamo ricambiati?

Sarà quel che sarà, si cercano sempre delle ragioni, più o meno razionali, quando si rimane scornati: tornare a casa senza aver raggiunto l’obiettivo non fa piacere a nessuno ma purtroppo capita, in montagna capita spesso.
La via che ci eravamo proposti di fare, il Crepone alla Punta Esmeralda, era una ravanata assolutamente alla nostra portata tuttavia una lettura errata della montagna e qualche indecisione di troppo hanno fatto sfumare il traguardo già a metà giornata… costringendoci ad una calata in doppia fuori programma!

Diciamo anche che le relazioni di cui disponevamo (e non citeremo le fonti) non erano proprio il massimo in quanto a chiarezza: questo versante dell’Esmeralda è solcato da numerose vie, alcune alpinistiche altre sportive, mediamente ben più difficili del Crepone, non sempre è possibile tornare agilmente indietro o calarsi in doppia; sulle alpinistiche non ci sono praticamente chiodi, quindi trovare la strada senza cacciarsi nei guai è la vera difficoltà. Noi siamo riusciti a non cacciarci nei guai, ma la via l’abbiamo persa già sul secondi tiro!

In compenso l’Alpe Devero e i Piani della Rossa regalano sempre paesaggi mozzafiato, nonostante il discreto affollamento della stagione estiva: noi abbiamo deciso di arrivare a Devero comodamente nel pomeriggio di sabato -riuscendo anche a parcheggiare in cima, alla modica cifra di 6 € al giorno!- e di pernottare in tenda al campeggio Rio Buscagna (lo consigliamo anche alle famiglie prive di tenda, visto che è possibile affittare dei teepee già montati e di diverse dimensioni: esperienza divertente anche per i pargoli). Così ci è stato possibile godere anche di una passeggiata nella fiabesca piana di Devero (1.630m slm), di una fantastica cena presso il Rifugio CAI Castiglioni (il cibo è ottimo, le porzioni …abbondantissime!) ed infine di una passeggiata notturna fino a Crampiolo, per un ultimo cicchetto.

Cronaca del nostro tentativo di Via del Crepone alla Punta Esmeralda

Vi raccontiamo la nostra esperienza, questa volta purtroppo in modo spannometrico, sperando possa tornare comunque utile a qualcuno per non ripetere i nostri stessi errori: noi torneremo sicuramente da queste parti per riprovarci, ma saremmo curiosi di avere i vostri feedback (positivi o negativi)!

Siamo partiti la mattina prima dell’alba con le frontali e arrivati ai Piani della Rossa (2.050 m slm) quando i primi raggi di sole toccavano appena le cime limitrofe al Cervandone, colorandole di rosso: insomma, fin qui abbiamo fatto le cose per bene.
La portata d’acqua era notevole, così invece di guadare abbiamo aggirato la roccia isolata e il segnavia dei Piani della Rossa rimanendo a destra, sui grossi massi che costituiscono la base dello scivolo detritico che, risalito, conduce verso la bastionata grigia sotto la Rossa. Sempre salendo a destra (faccia a monte) e ripresa la traccia di sentiero si risale la bastionata grigia e ci si ritrova sull’altopiano ai piedi della bastionata della Rossa, a quota più elevata. Impossibile non notare i bellissimi diedri di fronte, che la solcano in verticale: sembrano tagliati con l’accetta! Li percorrono alcune vie interessanti: Shanti Om, Solemar, Lo spigolo del Cielo, Diedro Suna, Via degli Ignoti ecc…

Noi passiamo oltre procedendo in salita verso destra e puntiamo alla verticale della cima dell’Esmeralda, che, vista dal basso, sembrava davvero poco impegnativa… mentre da qui si notano le belle placche fessurate che caratterizzano questo versante, tra cui quella enorme che occupa due terzi della parete, percorsa dalla via Superesmeralda.

La progressione non è agevole: per evitare la neve, ancora presente alla base delle pareti, ci tocca saltare da un masso instabile all’altro: giunti praticamente alla verticale della cima decidiamo di approcciare la parete, con un traverso su neve piuttosto antipatico, visto che nascondeva al di sotto svariati buchi e fessure abbastanza profonde, soprattutto in prossimità della roccia.

Non sappiamo esattamente dove sia l’attacco della via del Crepone, visto che i primi metri della parete erano sepolti sotto la neve: noi abbiamo attaccato in un punto comodo, spostandoci gradualmente a sinistra su rocce facili e intersecando e superando la Via Ciao Marco. Poco oltre abbiamo trovato una sosta su cordone, da integrare.

In verde la Via del Crepone… come crediamo debba essere: noi siamo arrivati correttamente alla prima sosta, poi in corrispondenza della traccia rossa abbiamo ravanato (la vedete la grossa X?!) e visto che non eravamo certi di essere nemmeno in via ci siamo calati (tratteggio).

La Via Ciao Marco è l’unica sicurezza che abbiamo avuto rispetto a come ci siamo mossi in parete, ed anche rispetto alla parete stessa: questo perchè la Ciao Marco è attrezzata a spit con soste e catena con anello di calata, dunque facilmente riconoscibile rispetto a tutto quanto altro si trova sulla roccia da queste parti!

Sul primo tiro non abbiamo dubbi: come da relazioni ci trovavamo sotto un canale-camino, il grado (II) era quello che ci aspettavamo.

Attacchiamo il secondo tiro, salendo nel canale, sempre ben marcato: probabilmente (anzi, sicuramente…) saliamo troppo e dopo circa 25 metri ci troviamo alla base di un bellissimo diedro molto evidente ma anche molto poco di III grado! Facciamo sosta e ci guardiamo intorno.
Siamo certi che la Via del Crepone non passi dentro il diedro sovrastante: ci sono due vecchi chiodi, ma le pareti del diedro sono verticali, in placca piuttosto liscia, insomma più difficile dei gradi che tutte le relazioni palesavano (vedi foto). Spostandoci verso destra, sullo spigolo del diedro, vediamo una decina di metri sulla destra gli spit e le calate di Ciao Marco.

Abbiamo provato a salire sulle rocce rotte accanto al diedro per 6-7 metri fino ad arrivare in corrispondenza della sua uscita. Da lì però la roccia mutava in placca e non c’era nessun segno di passaggio che ci facesse dedurre di essere vagamente sulla via giusta. Inoltre, intravedevamo una zona in alto che ci sembrava complicata, o quantomeno di difficile lettura.
Di conseguenza, con il dubbio di avere sbagliato tutto, non ce la siamo sentita di risalire fino in cima allo spigolo: non avevamo idea di dove saremmo approdati e soprattutto, vista la placca, non sapevamo se avremmo trovato qualcosa o meno per allestire un’eventuale calata.

La scarsa conoscenza di questa montagna ha aumentato la nostra indecisione. Abbiamo quindi approfittato di uno sperone presente in quel punto per effettuare una calata di emergenza che ci portasse vicini ad una catena della via Ciao Marco, ma ormai dopo il tempo perso e le silenziose imprecazioni lanciate alla mamma di tutte le relazioni, l’umore era quello di un tapiro depresso.
Sarà per questo che il 5b di questa via moderna, sotto il quale eravamo e che ci avrebbe comunque permesso di salire, ci è sembrato più difficile del dovuto, non tanto dal punto di vista tecnico (placca con roccia bellissima!) quanto per la chiodatura da pelo sullo stomaco. Peccato: la percezione del pericolo e delle difficoltà come è noto varia a seconda dello stato mentale in cui ci si trova, e in quel momento il nostro era sul bassino andante, tendente al depresso…. 😉

Riguardando la parete dalla sua base abbiamo dedotto che effettivamente si dovesse risalire lo spigolo, che consente di aggirare le pareti del diedro, per poi uscire a sinistra su una nicchia dove si sosta e poi prendere l’evidente “crepone” che conduce alla sommità. In alternativa (consigliato, dopo averla vista), si può salire un diedro piuttosto agevole e segnato all’inizio da un lungo cordino (è il tragitto che vi abbiamo tracciato nella foto) che porta in modo meno dispersivo e drammatico verso la sosta superiore. Basta andare qualche metro più a destra una volta usciti dal primo diedro del secondo tiro e arrivati sul terrazzino, spostarsi a destra per 5-6 metri. Tra l’altro, qui si può fare anche una eventuale sosta di mezzo, spezzando in due il tiro che comunque è molto lungo, con conseguente aumento del peso delle corde.
Di tutto questo, manco a dirlo, abbiamo preso coscienza dopo esserci calati sfruttando la sosta di Ciao Marco fino alla base della parete e al limite del traverso su neve da cui eravamo partiti.

Stavolta è andata così! “Bisogna saper perdere”, come cantava Lucio Dalla 😀
Le foto le mettiamo lo stesso… il luogo merita davvero, ci torneremo più convinti in futuro

Nota a Margine

Diamo l’estremo saluto alla nostra fettuccia arancione + maglia rapida, abbandonata in parete: siamo certi che vi faranno compagnia le altre quintalate di materiale alpinistico che giacciono incastrate nelle fessure e sugli speroni di questo bel serpentino rosso. Il vostro sacrificio non è stato vano. Amen.

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