Ghiacciaio dei Forni in “missione” scientifica

Ogni tanto anche agli scappati di casa come noi toccano questi privilegi!


In una soleggiata giornata di fine agosto abbiamo avuto il piacere di accompagnare un gruppo di ricercatori guidati dal dott. Claudio Pergolini, geologo e titolare dello Studio Geoambiente in Fossombrone (PU), con il prezioso supporto del Servizio Glaciologico Lombardo (nella persona di Giovanni Prandi, presidente dell’SGL e amico) su una meraviglia di ghiacciaio, il Ghiacciaio dei Forni.

La finalità di questa giornata era testare uno strumento e un metodo di misurazione che potesse restituire, una volta messo a punto per un ambiente particolare e per certi versi “estremo”, dei dati utili per lo studio di questo e dei ghiacciai in generale, relativamente al loro stato di salute, al loro arretramento stagionale e generale ecc, confrontabili e integrabili con i dati periodicamente raccolti attraverso mezzi più tradizionali dal Servizio Glaciologico Lombardo.

Cosa c’entriamo noi in tutto questo? Nulla… o tutto!
Per ragioni abbastanza casuali abbiamo messo in contatto due gruppi con interessi convergenti: il minimo che potevamo fare era esserci e partecipare a questa giornata, insieme ai già citati Claudio Pergolini e Giovanni Prandi, Francesco (fortunato figlio del prof. Pergolini), Luca Lanci, PhD – professore Associato presso il Dip. Scienze Pure e Applicate dell’Università di Urbino e Michele Gliaschera – Studio Geocon – Fano, anch’essi geologi.

Il Ghiacciaio dei Forni non è stato scelto a caso: oltre ad essere stato il più grande ghiacciaio vallivo italiano e l’unico di tipo himalayano, oltre ad essere bellissimissimo, presentava alcune caratteristiche che ben si prestavano a questa sperimentazione. Innanzi tutto nonostante l’eterno viaggio in auto lungo la valle dei Forni in Valfurva, una volta parcheggiato al Rifugio dei Forni l’avvicinamento è abbastanza breve (2h 30” circa); secondo poi in questa stagione è abbastanza sicuro, essendo le crepacciate tutte aperte. Terzo e non meno importante l’esperienza e la conoscenza di questo ghiacciaio da parte di Giovanni ci faceva stare tutti assolutamente tranquilli.

S.O.S.: se qualcuno che ci legge fosse in grado di commentare la toponomastica della “Valle dei Forni” ne saremmo lieti; la supposizione (che rimane tale perchè siamo pigri) è che si tratti di un nome risalente al probabile passato di miniere e fornaci della valle, come in altri casi. Certo è che “Ghiacciaio dei Forni” suona piuttosto divertente.

il gruppo si accinge a risalire il ghiacciaio. sullo sfondo il Gran Zebrù ci osserva benevolo

La giornata si è svolta nel migliore dei modi; noi – che non dovevamo dedicarci alle misurazioni nè avremmo saputo farlo – abbiamo approfittato per bighellonare sul ghiacciaio e fare foto, che trovate qua sotto. Ci sono formazioni incredibili, crepacci, mulinelli glaciali… e i colori di questo posto sono pazzeschi (certo i bianchi e blu del ghiaccio, ma anche il rosso e il giallo della roccia, il verde dei pascoli), il Gran Zebrù a guardarci da lontano.
Meritano un’occhiata le foto… la natura crea miracoli ineguagliabili!


Passando alla parte meno faceta della giornata, possiamo dirvi che il Servizio Glaciologico Lombardo monitora questo ghiacciaio da più di vent’anni con l’ausilio della mitica vaporella (ovvero una sonda che immette vapore veicolato da un tubo nel ghiaccio/neve, creando un foro che permetterà l’inserimento delle paline) e di paline autofabbricate, smontabili in tre parti, verniciate a strisce orizzontali per consentire le rilevazioni a vista; inutile dire che questo tipo di attrezzatura è moooolto pesante e ingombrante… e viene trasportata a manina dai ragazzi dell’SGL!
Per chi non lo sapesse l’SGL opera su base volontaria, trovate le varie attività sul loro sito (ci permettiamo di ricordare l’esplorazione della grotta, sempre in zona Forni, che trovate qui, …ci abbiamo messo lo zampino!)

la seraccata appena al di sopra del primo salto

Invece il team di Claudio Pergolini era qui per testare una metodologia di sismica passiva (metodo HVSR a stazione singola) basata su uno strumento che a vederlo sembra assai semplice (una scatoletta rossa grande una quindicina di centimetri che, assieme ad un portatile, si infila comodamente nello zaino), ma semplice non è.

Claudio accanto alla stazione meteorologica

Proviamo a spiegarvi in breve come funziona (Claudio, perdonaci!): si tratta di una metodologia di tipo geofisico che permette di sfruttare il rumore ambientale o rumore di fondo, presente anche in un ambiente “silenzioso” come il ghiacciaio, per “energizzare” il terreno, avvalendosi del tromografo (la famosa scatoletta rossa). I sensori elettrodinamici presenti nel tromografo consentono di acquisire delle frequenze di risonanza che sono differenti per il ghiaccio e per la struttura sepolta (il terreno, per intenderci) e il tutto – correttamente interpretato – permette di misurare lo spessore del ghiaccio stesso. Si effettuano più misurazioni o stazionamenti a distanze regolari, sia in senso trasversale sia in senso longitudinale, in una determinata porzione di suolo. Qui l’articolo completo.

Come tutte le sperimentazioni, anche questa ha messo in luce questioni da approfondire e problematiche da risolvere, come ad esempio quella dovuta al fatto che il ghiaccio, sotto il tromografo, seppur poco si scioglie – rischiando di compromettere la precisione del risultato.
In compenso ci sono evidenti vantaggi, tra cui l’agilità con cui possono essere effettuate le misurazioni e la leggerezza dell’attrezzatura. Noi abbiamo imparato molto, approfittando a mani basse della pazienza dei professionisti che erano qui, offrendo in cambio un minimo supporto e un’esperienza unica, a nostro avviso, anche se non abbiamo scalato nessuna cima.


Speriamo di cuore che questa collaborazione dia i suoi frutti, perchè l’oggetto della ricerca è un bene primario, qualcosa di cui nessuno – anche se dal vivo non ha mai visto un ghiacciaio – può fare a meno.

Eccolo qui, sua maestà il ghiacciaio 🙂

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