Punta Osvaldo Esposito – Via Calegari / Farina – Splendida trad orobica!

CARONA (BG) 1.110 m s.l.m. – PUNTA OSVALDO ESPOSITO 2.189 m s.l.m. – Via Alpinistica, grado D- (IV+) – Esposizione NORD-NORD-EST – Quota attacco: 1.930 m circa – Sviluppo arrampicata: 280 m circa – Sviluppo complessivo: 18,2 km

Erano almeno due anni che rompevo le balle a tutti per andare a fare questa via e finalmente quest’anno ce l’abbiamo fatta!
Trovandosi su una parete nord, in quota e con un avvicinamento piuttosto lungo, i periodi per poterla scalare sono limitati a pochi mesi l’anno e ci vuole anche la giusta parentesi meteo, oltre che il giusto allenamento.

Queste circostanze tutte insieme si sono verificate quest’anno (forse a parte l’allenamento 😛) complice anche l’inverno con scarsissime precipitazioni nevose che hanno fatto si che la via fosse accessibile già verso la fine di maggio.

Si tratta di una via (poco) protetta a chiodi, in ambiente isolato, alpino, su una montagna che anche a guardarla incute il giusto timore reverenziale.
La via però è molto bella e di grande soddisfazione, con un’arrampicata varia e divertente, prevalentemente su diedri e placche.

Per ulteriori dettagli, vedete il giudizio a fine articolo.

Se dovesse piacervi, sappiate che esiste una seconda via sempre su questa parete, circa 50m più a sinistra (via Fuga Diagonale) con difficoltà sul V+.

Inoltre vi consigliamo caldamente anche la via Orobica al Pizzo del Becco, non molto lontano da qui, che abbiamo percorso anni fa e che c’era piaciuta moltissimo per l’ottima qualità della roccia (verrucano lombardo in quel caso) e per l’ambiente stupendo!

Infine la via Francesca alla Cima dei Piazzotti Orientale, un gioiello di via con il più bel diedro delle Orobie da salire totalmente in trad! (V+/VI-)

Avvicinamento automobilistico

Giunti a Carona prendere la strada sulla sinistra in direzione Rifugio Calvi / Rifugio Longo fino ai parcheggi a pagamento (2€ al giorno con gratta e sosta acquistabile in paese) vicino al tornante da cui parte il sentiero (strada).
Si può anche parcheggiare circa 500m prima su strisce bianche evitando l’obolo.

Avvicinamento alla via

Seguire la strada per il rifugio Calvi superando dapprima le case di Pagliari, poi la cascata della Val Sambuzza e infine il lago del Prato (circa 1h dall’auto).
Da qui la strada inizia a salire più ripidamente e dopo circa 20 minuti (nel frattempo la Punta Osvaldo sarà ben visibile alla vostra destra) si incontra un sentiero che scende a destra (quota 1.830 m) e che va in direzione opposta.

Imboccarlo, e nel giro di pochi minuti di discesa si incontra un prato con una bella pozza e una piccola diga che va superata imboccando il sentiero che costeggia la montagna per circa 10 metri, fino a trovare sulla sinistra un evidente ometto alla base dei ghiaioni (vedi foto).

Seguire gli ometti che passano inizialmente tra i mughi a sinistra per poi rimontare i ripidi ghiaioni che conducono in circa 30 minuti all’attacco della via, alla base dell’enorme diedro ben visibile sopra di noi.
Non si trovano chiodi o segni di via. Si intravede in lontananza un cordino sulla parete dopo i primi 25 metri.

Descrizione dei tiri

  1. III+ / IV+ (35m) – Si segue la rampa ascendente verso destra superando una prima rimontina (III+) fino a raggiungere una parete (cordino) con una grossa lama che va affrontata dritta per dritta per circa 3 metri fino ad un chiodo. Ci si sposta quindi a sinistra con passo delicato (attenzione agli sfasci) fino alla sosta.
  2. IV / IV+ (40m) – Si procede nel diedro, inizialmente molto appoggiato, fino a superare un primo muretto (IV). Si procede poi per terreno più facile fino al punto il cui il diedro si verticalizza. Procedere quindi tra il diedro e la placca di sinistra (IV+), per fortuna con ben 3 chiodi a proteggere i passi più duri.
    Uscire poi con rimonta verticale e sprotetta verso la sosta, 4-5 metri a monte.
  3. IV (30m) – Salire verticalmente sopra alla sosta superando una specie di caminetto che si rimonta grazie alla placca di sinistra. Puntare quindi verso destra in direzione di un evidente diedro / camino con rocce incastrate preceduto da una breve placca appoggiata.
    L’uscita a mio avviso è più facile (e più divertente) stando esterni nel camino e sfruttando la spaccata.
  4. III (40m) – Imboccare una sorta di rampa a sinistra della sosta (occhio agli sfasci) per circa 5-7m , poi alzarsi a sinistra su placche appoggiate fino sotto lo spigolo. Qui fate molta attenzione che le rocce sullo spigolo sono estremamente fragili!! Meglio stare un po’ più a destra, fino alla sommità del pilastro dove si sosta.

    Guardando sul lato dello strapiombo, si trova subito la sosta che consente di abbassarsi sulla cengia sotto con una calata di 20m circa.

    Attenzione che questo è una sorta di punto di non ritorno! Non sappiamo se ci sia un’eventuale via di fuga dall’intaglio, quindi se effettuerete la calata, sarete poi obbligati ad arrivare fino in cima!
  5. II (15m) – Attraversare la cengia (attenzione agli sfasci) fino alla base di una bella placca subito accanto ad una spalla dove conviene sostare.
    Se voleste proteggere l’attraversamento, trovate una lama alla base del pilastro, più o meno dove atterrate con la calata.
  6. IV+ (40m) – Procedere verticalmente sulla placca (è più facile di quello che sembra a guardarla) uscendo poi al suo termine verso sinistra dopo un masso incastrato e seguendo una serie di rocce un po’ rotte fino alla base di una placca appoggiata.
    Qui forse i passi più delicati (comunque con una protezione nel mezzo) che dopo alcuni metri conducono alla sosta sulla sinistra, sotto un tetto.
  7. IV (30m) – Spostarsi in traverso a destra della sosta per circa 2-3 metri fino ad imboccare una rampa verso sinistra che si segue fino al termine. Poi salire in verticale fino ad uscire a sinistra su un terrazzo detritico sul quale dopo pochi metri si trova la sosta.
  8. II, IV+, II (50m) – Salire verticalmente per roccette, attraversare un canale (occhio agli sfasci!!!) e rimontare fino alla base di un evidente diedro.
    Salirlo prestando molta attenzione a ciò che si prende (ci sono rocce instabili e un masso gigante che sembra perfetto per metterci un cordino, ma si stacca!!).
    Questo diedro è totalmente da proteggere a friend, non c’è neanche un chiodo.
    Proseguire poi per rocce più facili e appoggiate fino a pochi metri dalla cima dove si può costruire una sosta su grossi massi (meglio avere fettucce lunghe).
ERRATA CORRIGE: ad un certo punto dico “Grabiasca” invece di “Monte dei Frati”. Abbiate pazienza, è stata una lunga giornata 😅

Discesa

Per trovare le calate è necessario proseguire sulla lunga e a tratti esposta cresta, con passi di II su roccia e con pini mughi un po’ invadenti.
Noi l’abbiamo fatto slegati, ma anche una conserva tutto sommato ci può stare.
Si incontra dapprima una targa con sotto il libro di vetta (purtroppo fradicio nel nostro caso), poi un grosso ometto che segna la cima vera e propria della Punta Osvaldo Esposito e dopo qualche altro minuto si incontra la sosta per le calate (evidente).

E’ possibile calarsi sia in direzione del lago dei Frati (destra, 2 calate da 50m), sia in direzione dei laghi di Zelt (sinistra, 1 calata da 50m).

Noi abbiamo scelto di scendere verso il lago dei Frati perché ci è sembrato ci fossero meno ostacoli dove potesse incagliarsi la corda.
La seconda calata si trova su una grossa placca appoggiata.

Giunti alla base della montagna, scendere su antipatico ghiaione (cercate di stare sui massi più grandi) fino al sentiero poco a monte del lago che va preso verso destra e che in circa 20 minuti porta ad un bivio.

Qui si può scegliere se andare a sinistra verso Carona seguendo il sentiero estivo che passa nel bosco (ci sono molti sali/scendi) oppure andare a destra per una decina di minuti fino ad incrociare di nuovo la condotta dell’acqua incontrata all’andata e quindi a ritroso fino alla strada e al parcheggio (dalla cima al parcheggio, 4 ore circa tra calate, ghiaione, sentiero e strada).

Giudizio

Se amate le vie di carattere alpinistico, qui vi divertirete senz’altro!
La roccia è uno gneiss molto vario, mediamente di buona qualità, purtroppo intervallato da sfasciumi pericolosi sulle cenge e a volte anche lungo la via (in pochi casi per fortuna).

La chiodatura è davvero minimale, a chiodi, ma nei punti giusti.
Richiede sicuramente qualche integrazione con protezioni mobili (noi abbiamo usato soprattutto friend medio grandi e 6-7 cordini, più che altro per allungare tutte le protezioni).

Le soste sono solide a spit con catena o a volte da collegare.

La stagione migliore è sicuramente l’estate vista la quota e vista l’esposizione. Fattibile anche in tarda primavera come è successo quest’anno, ma solo se l’inverno è stato veramente ingeneroso di neve (speriamo non accada più!).

Da evitare dopo recenti piogge perché troverete sicuramente i punti più difficili bagnati!

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Disclaimer

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