Annapurna Circuit Trek, parte II – Ai piedi della Dea, le alte vette himalayane

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DAY 4 – da Dharapani a Chame: festeggiando un compleanno e la vista dell’Annapurna II

Dharapani (1.860) – Timang (2.750 mt)- Chame (2.670 mt)

Dopo la prima “esperienza” di ruota di preghiera gigante (mani-chos-‘khor), iniziamo a camminare, tagliando i tornanti della strada attraverso un sentiero che sale tramite gradoni fino a Timang: da qui la vista sul Phungi Himal è meravigliosa.

Oggi è una giornata ventosa, per il pranzo approfittiamo volentieri della cucina del Lodge che ci ospita lungo la strada per Lata Marang: sembra di essere in un rifugio alpino, con la carne messa ad essiccare sopra la stufa e un micio che sonnecchia sulle panche. Primo assaggio di pizza nepalese: sappiate che è piccina, e che fondamentalmente non è “pizza”, mancandone gli ingredienti fondamentali (mozzarella e passata di pomodoro), ma, come tutto il cibo qui, è buona. I nepalesi sono ottimi panificatori, e sanno trattare la materia prima: ad esempio difficilmente mangerete pasta scotta, anche se il condimento lo interpretano un po’ a modo loro!

Ripartiamo per Chame, con Annapurna II che svetta all’orizzonte: con questa visuale sembra veramente… gigantesco, con le sue pareti altissime e verticalizzate dalla prospettiva, impensabile ci sia montagna che lo superi (e invece…).

Arrivati a Chame godiamo del primo bagno in camera del trekking (lusso vero!), compriamo cappellini e calzettoni di lana variopinti (che andranno ad aggiungersi al modesto carico di Kali), proviamo a godere delle Hot Springs (rinunciando, visto che è momento di bucato e giustamente nemmeno alle coriacee donne nepaline fa piacere farlo nell’acqua fredda) e festeggiamo il compleanno di Ram, la nostra guida, concedendoci qualche bicchiere di Raksi.

 

DAY 5 – da Chame a Lower Pisang: abeti, Gompa, Mani, freddo e blackout

Chame (2.670 mt) – Bhratang (2.850 mt) – Lower Pisang (3.200 mt)

Altro radicale cambio di paesaggio per noi: a quasi 3.000 metri la vegetazione inizia ad assomigliare a quella che possiamo trovare in Italia a 1.500, con conifere e montagne brulle all’orizzonte.

Ma non è solo la flora a mutare: le ruote di preghiera all’ingresso di ogni villaggio da qui in avanti, fino al Passo, diventeranno una costante, così come le Mani buddiste, ovvero le pietre incise in lingua tibetana (che i nepalini non sanno leggere) recanti diversi mantra, tra cui il noto “Oṃ Maṇi Padme Hūṃ“. Ve ne sono ovunque, scolpite o -più raramente- colorate in rilievo; accanto vi si trovano cumuli di sassolini posti uno sopra l’altro (come i nostri “ometti” di montagna, che probabilmente derivano da questi): aggiungere la propria pietra è beneaugurante, ma al di là della superstizione pensiamo che questa pratica abbia radici più profonde… che non avremo modo di indagare!

A poco meno di 3.000 metri attraversiamo la Val di Non nepalina: distese di alberi di melo, che producono frutti piccini ma buonissimi, di cui grazie ai nostri compagni di viaggio Ram e Kali facciamo scorta. Come già detto il Nepal è una specie di giardino dell’Eden!

Pranziamo e facciamo pranzare una mucca golosa, che non aspettava altro, con i torsoli delle nostre meline, dopodichè ci addentriamo sempre più tra montagne che cominciano a salire ripidamente, fino ad arrivare in vista di Pisang. Visto che è presto andiamo subito a far visita al monastero buddista (Gompa) che si trova a monte di Upper Pisang, recentemente ricostruito e abitanto da un certo numero di monaci.Tutto l’insediamento è davvero bello, un luogo di pace dove per le stradine non è difficile incontrare mucche e yak che vanno per conto loro, oltre ai soliti cani e gatti.

La sera trascorrerà lenta accanto alla stufa, che riunisce tutti attorno al suo salvifico calore (eh sì, perchè quando va via il sole le temperature iniziano a crollare vertiginosamente!), clienti, portatori, guide, padroni di casa, bestiole. A lungo mancherà la luce, e anche questa da qui in avanti diventerà una costante, non sempre sgradevole se non per l’atmosfera romantica del lume di candela. Queste serate infinite annientano le distanze: la lingua, la religione, il proprio essere o meno benestanti vengono bruciati dal fuoco, non valgono nulla: le differenze si trasformano nel vapore acqueo che esce dalla bocca per il freddo, qui, ora, siamo tutti davvero sotto un unico cielo, quello trapuntato di stelle del Nepal.

 

DAY 6 – da Lower Pisang a Manang: vigilia “d’alta quota” e primi yak

Lower Pisang (3.200 mt) – Ghyaru (3.670 mt) – Ngawal (3.660 mt) -Braga (3.360 mt) – Manang (3.540)

L’alba profuma delle foglie -non sappiamo di che albero- che vengono bruciate al mattino, secondo tradizione buddista, fuori dalle case.

Tappa meravigliosa quella di oggi, che ci porta subito, dopo una bella salita, allo Stupa (Chorten in lingua tibetana) di Jhunju, a Ghyaru, dove tra lung-ta e pietre mani godiamo di una vista spettacolare sull’Annapurna Range e sul Pisang Peak, uno dei 6.000 facili che ci sono in questa zona… che ci ingolosisce non poco!

Il paesaggio è nuovamente cambiato e diciamo addio anche alle conifere, che lasciano il posto ai bassi arbusti delle quote più alte; l’atmosfera è tutto fuorché natalizia, da dove siamo vediamo la neve sulle cime più alte, a partire dai 5.000 metri, ma ogni passo è un incanto. Sopra di noi, ma sempre più vicine, volteggiano le piccole aquile che abbiamo visto sin dal primo giorno.

Invece sino a questo momento erano mancati gli yak: sugli alti pascoli se ne trovano molti, si comportano come le mucche ma godono di maggiore libertà.

Il sentiero/sterrata prosegue in costa, con qualche sali scendi e attraversando numerosi insediamenti, tra cui Ngawal dove ci fermeremo a mangiare,e Braga, appena prima di Manang; le montagne sono punteggiate di bianchi stupa che però non abbiamo intenzione di raggiungere.

Giriamo ruote di preghiera (rigorosamente dal lato destro) e ne scopriamo anche alcune che vengono più comodamente girate dall’acqua, abbiamo il solito cane nomade che ci fa compagnia, due chiacchiere con Ram e Kali, fino ad arrivare a Manang ove ci fermiamo all’Hotel Himalayan Singi. Il Lodge è molto bello, con una vista mozzafiato sulla lingua di ghiacciaio del Gangapurna di fronte a noi, abbiamo nuovamente il bagno in camera e la sala comune è piena di trekkers dalle diverse provenienze: alcuni di loro li abbiamo già incontrati, altri mai, altri faranno con noi l’ultima parte del percorso.

La sera scopriremo altri inconvenienti del freddo, che gela le tubature in tempi record: dopo il tramonto e la mattina presto niente acqua corrente…. nemmeno nel wc, quindi regolatevi!

Festeggeremo l’intasamento del nostro bagno con canzoni di Natale in heavy rotation, fatte suonare da un gruppetto di canadesi nostalgici -e forse un po’ brilli- e poi tutti a nanna che domani abbiamo in programma un’escursione fino all’Ice Lake per vedere come ce la caviamo con la quota!

 

DAY 7 – acclimatamento a Manang + escursione all’Ice Lake: stile alpino

Manang (3.540) – Ice lake (4.600 mt) – Manang (3.540)

Parlando con Ram e Kali ci siamo resi conto che qui lo “stile alpino” (ovvero l’ascensione con il minimo indispensabile, leggera e veloce, senza portatori, senza corde fisse, e con “campi” ridotti all’osso e solo se necessari, di cui, per citarne uno, Messner fu grandissimo interprete proprio sulla catena Himalayana) non è molto compreso. Forse perchè sono rarissimi i nepalini che vanno in montagna per piacere (c’è del turismo locale, lo scopriremo in Mustang, ma non molto avvezzo alla fatica, mentre in genere la popolazione è troppo povera per porsi il problema), forse perchè quei pochi non hanno mai avuto/potuto permettersi l’attrezzatura hi-tech leggerissima che circola in occidente, o forse invece, crediamo noi, perchè qui la montagna è una faccenda diversa, filosoficamente diversa. Il profilo più bello, con la salita più estetica in assoluto che abbiamo visto durante il nostro viaggio, per esempio, appartiene al Machapuchare, “solo” un 6.993 metri ben visibile da Pokhara: ecco, quella salita è impossibile, perchè la montagna è sacra a Shiva quindi interdetta all’alpinismo (nel ’57 Noyce, un inglese, si fermò a pochi metri dalla cima proprio per rispetto alla tradizione locale); non c’è mai una questione “sportiva”, dal punto di vista nepalino, per approcciare alle montagne, anche a quelle non sacre, la velocità non è contemplata.

Restando a Manang per una giornata oggi abbiamo la possibilità di abbandonare gli zaini pesanti e salire “in stile alpino” fino all’Ice Lake, ottimo anche per l’acclimatamento visto che si trova a 4.600 metri.

La giornata ci saluta con un’alba spettacolare sul Gangapurna e le tubature ancora ghiacciate dalla sera prima. Kali decide di accompagnarci, cosa che ci fa molto piacere.
La traccia alta che da Manang si ricollega sopra Braga al sentiero dell’Ice Lake pare sia franata, quindi torniamo all’insediamento incontrato il giorno prima e da lì ci immettiamo subito sul sentiero ufficiale, che comincia a salire con pendenza costante: si gode un’ottima vista del villaggio e dell’antico Gompa arroccato poco più in alto. Teschi “ornamentali” di blue-sheep (bharal, una specie di capra di montagna con grandi corna) ci fanno intuire che ci stiamo addentrando nel loro territorio, ed infatti ne vedremo anche di vive.

Mano a mano che prendiamo quota è come se tutto l’intorno ci dicesse “ecco, signori e signore, l’Himalaya!”, non ci sono aggettivi (ma ci sono le foto).

Arriviamo all’Ice Lake in meno di tre ore, comprensive di frequenti pause per le suddette foto: dai 4.000 metri inizierà a tirare un vento teso e gelido che ci suggerirà un permanenza minima quassù, dove il lago è effettivamente ghiacciato e il paesaggio intorno a dir poco lunare. C’è anche qualche spruzzata di neve sui pendii brulli, ma la copertura nevosa vera e propria comincia molto più in alto. Tempo di rifocillarci con le scorte di Bivo che ci siamo portati (strano pranzo di Natale, il nostro: lo assaggerà anche Kali, “not bad” ma in realtà credo avrebbe preferito un dal bhat) e cominciamo la discesa, sotto un cielo coperto da nuvole che però rende la luce straordinaria.

Alla sera presso l’Himalayan Singi si svolgerà una sorta di festa di paese: noi eravamo riusciti ad accaparrarci le carte da gioco (che non sempre ci sono nei Lodge), e verremo guardati malissimo dalle donne di Manang, cazzutissime, che avrebbero voluto usarle loro. Non abbiamo capito come funzioni il gioco, ma signore e signorine erano serissime a smazzare e distribuire carte, situazione del tutto simile a quello che potresti trovare al bar di Bergamo alta una domenica mattina!

 

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